Individuati
distinti sottogruppi di SLA
GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 29 giugno 2024.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE/BREVE
AGGIORNAMENTO]
Seguiamo sempre con grande interesse la ricerca
sulla sclerosi laterale amiotrofica (SLA), la principale malattia del
motoneurone senza ancora una terapia in grado di modificare il processo
patologico neurodegenerativo, e cerchiamo di stare al passo con le continue
nuove acquisizioni, anche se non sempre è facile scegliere uno studio da
presentare fra i numerosissimi che giungono a termine ogni giorno in tutto il
mondo.
Ad esempio della difficoltà, per noi che seguiamo tutto
l’ambito delle neuroscienze, di documentare esaustivamente i progressi compiuti
dalla ricerca su ogni singola patologia, citiamo qui l’esempio di un risultato
ottenuto da una terapia sperimentale su un singolo paziente[1], come ci
è stato comunicato nello scorso mese di maggio, da un documento non ancora
stampato della UMEA University. Qui di seguito si riporta il contenuto della
notula:
Sclerosi
laterale amiotrofica (SLA): una terapia genica ha rallentato la progressione. Un paziente con una forma
aggressiva di SLA causata da una mutazione del gene di SOD1 è stato trattato,
fin dall’inizio del 2020, con una terapia genica mirata sulla mutazione di SOD1.
La terapia ha significativamente ridotto i livelli di SOD1 patologica,
rallentando la progressione della malattia. A quattro anni dalla diagnosi il
paziente continua a svolgere tutte le attività della vita quotidiana in
completa indipendenza. La molecola impiegata è stata approvata dalla FDA e
raccomandata dalla EMA per l’uso in pazienti affetti da SLA dovuta a mutazione
del gene di SOD1. Sfortunatamente i casi di SLA da SOD1 mutante sono solo il
2-5% del totale[2].
Ricordiamo,
tuttavia, che l’enzima rame-zinco superossido dismutasi 1 (SOD1) nelle
varianti che si aggregano dando luogo ad un elemento importante nella
patogenesi della sclerosi laterale amiotrofica (SLA) rimane la molecola
più studiata, sia perché è responsabile del maggior numero delle forme familiari,
sia perché in alcuni modelli è stata implicata anche nella patogenesi delle
forme sporadiche[3]. Sono state individuate oltre 140 mutazioni di SOD1
associate alla SLA, ma la loro stabilità o il loro comportamento di
aggregazione nell’ambiente della membrana non sono risultati in rapporto con la
fisiopatologia della malattia. In proposito, uno studio al quale rimandiamo[4], ha stabilito che il comportamento dell’enzima non
risente, come si credeva, dell’assenza di rame, ma della mancanza di zinco.
Oggi si è scelto un lavoro che ha impiegato l’approccio
di studio multi-omico, quale strategia per indagare i meccanismi
molecolari più precoci e sesso-specifici all’origine del processo
neurodegenerativo della SLA. Lucas Caldi Gomes e numerosissimi colleghi
coordinati da Paul Lingor hanno analizzato la corteccia prefrontale di
51 pazienti diagnosticati di SLA sporadica e 50 volontari equivalenti come gruppo
di controllo, insieme con 4 modelli sperimentali transgenici di SLA e, in tal
modo, hanno scoperto significative alterazioni molecolari strettamente
associate al processo patologico.
(Gomes
L. C. et al., Multiomic ALS signatures highlight subclusters and sex
differences suggesting the MAPK pathway as therapeutic target. Nature Communications – Epub ahead
of print doi: 10.1038/s41467-024-49196-y,
2024).
La provenienza degli autori
è la seguente: Technical University of Munich, School
of Medicine, Isar Hospital, Clinical Department of Neurology, Munich (Germania);
III Department of Medicine, University Medical Center Hamburg-Eppendorf,
Hamburg (Germania); Center for Biomedical AI, University Medical Center Hamburg-Eppendorf,
Hamburg (Germania); Institute of Medical Systems Biology, University Medical
Center Hamburg-Eppendorf, Hamburg (Germania); Research Center for ALS, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, Milan (Italia);
Laboratory of Mass Spectrometry, University of Strasbourg, National Proteomic
Infrastructure, Strasbourg (Francia); Institute of Medical Genetics and Applied
Genomics, University of Tübingen, Tübingen (Germania); German Center for
Neurodegenerative Disease (DZNE), München (Germania); Munich Cluster for
Systems Neurology (SyNergy), Munich (Germania);
Department of Neurology, Medical University of Warsaw, Warsaw (Polonia).
Si coglie l’occasione di questa
recensione per introdurre il lettore non specialista alla sclerosi laterale
amiotrofica e, a tal fine, si propone qualche
cenno storico[5] e poi una sintesi introduttiva sulla patologia della SLA tratta da un
nostro articolo precedente[6]. Più avanti si integra con altri spunti.
La
prima descrizione della sclerosi
laterale amiotrofica si fa risalire a Charcot, che studiò con Joffroy gli aspetti patologici di quel quadro clinico mai
descritto in precedenza, pubblicando un dettagliato resoconto nel 1869, e con Gombault, come risulta dalla pubblicazione del 1871. In una
serie di letture accademiche, proposte fra il 1872 e il 1874, Charcot fornì un’esposizione
accurata e completa di tutto quanto era stato osservato e trovato su quella
grave forma di perdita progressiva della funzione muscolare. In Francia, la
sindrome fu subito chiamata Malattia di
Charcot, ma il neurologo e neuropatologo francese raccomandava la
denominazione riassuntiva dei tre aspetti salienti e diacritici: sclerosi laterale amiotrofica. E con
tale nome fu recepita dalla nosografia anglo-americana. In precedenza, nel 1858,
Duchenne aveva descritto una paralisi labioglossolaringea,
denominazione corretta da Wachsmuth nel 1864 in paralisi bulbare progressiva. Nel 1869
Charcot richiamò l’attenzione sull’origine nucleare della paralisi bulbare
progressiva, e nel 1882 Déjérine la mise in rapporto
con la Malattia di Charcot. La maggior parte degli autori attribuisce ad Aran e
Duchenne le prime descrizioni di atrofia muscolare progressiva di origine
spinale, ma questi casi clinici erano erroneamente attribuiti dai due neurologi
ad una patologia primariamente muscolare[7]. Fu Cruveilhier
a notare per primo l’assottigliamento delle radici motorie anteriori del
midollo spinale nell’esame autoptico di questi pazienti e a ricondurre a
patologia del midollo spinale la conseguente perdita di tono, trofismo e
riflessi dei muscoli[8].
Questi
cenni storici ci introducono alla realtà clinica secondo i criteri nosografici
attuali, che si basano sul concetto di “malattia del motoneurone”. Tale
definizione comprende un gruppo di disturbi degenerativi progressivi che
interessano le cellule nervose motorie del midollo spinale, del tronco
encefalico e della corteccia cerebrale, che si manifestano con debolezza
muscolare, atrofia e segni di lesione piramidale in varia combinazione. Nel
sistema nervoso centrale distinguiamo, in base ad un criterio anatomo-clinico,
un motoneurone inferiore o spinale e un neurone motorio superiore collocato nei segmenti più craniali del
nevrasse: la patologia può riguardare solo il neurone inferiore, come nel caso
dell’atrofia motoria spinale (AMS),
solo il neurone superiore, come nella paraplegia
ereditaria spastica (PES), o entrambi, come nella SLA.
Anche
se approssimativamente il 90% dei casi di malattia del motoneurone è sporadico,
ovvero non legato ad eredità familiare, la massima parte della ricerca sulle
cause si è concentrata sulle forme familiari di SLA e AMS, identificando
mutazioni causali in geni specifici. Nelle forme autosomiche dominanti di SLA familiare,
le proteine mutanti acquisiscono spesso proprietà tossiche, che direttamente o
indirettamente interessano le funzioni del motoneurone, mentre nelle forme di
AMS, che sono autosomiche recessive, in genere manca la proteina funzionale
codificata dal gene mutante. Di seguito, si riportano alcune nozioni essenziali
emerse dalla ricerca sulle forme ereditarie di SLA, indicate in inglese con
l’acronimo invertito ALS (amyotrophic lateral sclerosis)[9].
Nel
5-10% dei casi di SLA familiare (fALS) ad eredità autosomica
dominante (ALS1) si verificano mutazioni nel gene della metalloproteasi
rame/zinco superossido dismutasi 1 (SOD1)[10]. Nella ALS2 delezioni autosomiche
recessive sono state identificate nel gene ALS2, che codifica l’Alsina, una
proteina che regola le GTPasi. Mutazioni in Dynactin p150glued sono state associate a casi
ad eredità autosomica dominante di malattia del motoneurone e possono, come
varianti alleliche, agire da fattori di rischio per la SLA. Nella ALS4, una
rara forma giovanile autosomica dominante, sono state descritte mutazioni nel
gene SETX che codifica la senataxina, che contiene un dominio DNA/RNA elicasi con omologie con altre proteine note per ruoli
nell’elaborazione dell’RNA. Sono state associate alla SLA anche VAPB, OPTN, VCP
e due geni implicati nel metabolismo dell’RNA: TDP43 e FUS. Individui omozigoti
per particolari aplotipi del promotore del VEGF
presentano un accresciuto rischio di SLA[11].
Qui di seguito una differente
sintesi introduttiva proposta in precedenza.
La sclerosi laterale amiotrofica (SLA o ALS
nell’acronimo inglese), descritta per la prima volta dal neurologo
francese Jean-Martin Charcot nel 1869, è la forma più comune di malattia
del motoneurone dell’età adulta,
che evolve rapidamente in pochi anni dall’insorgenza di sintomi quali debolezza
ingravescente degli arti, atrofia muscolare e spasticità. L’atrofia e la
paralisi muscolare sono la conseguenza della degenerazione dei motoneuroni del midollo spinale e del
tronco encefalico, la cui distruzione priva di tono, trofismo e riflessi i
muscoli, compromettendo progressivamente le abilità motorie degli arti, la
fonoarticolazione e la respirazione. La spasticità, che complica ed aggrava il
quadro, è conseguenza della perdita dei neuroni motori della corteccia cerebrale. Infatti, il
processo patologico interessa sia i motoneuroni
superiori, sia quelli inferiori
del sistema nervoso centrale, evolvendo attraverso una serie di stadi che influenzano
la dimensione, la forma, il contenuto, il metabolismo e la fisiologia di queste
cellule. Non si conoscono ancora le cause della SLA sporadica, che riguarda il
90-95% delle persone colpite, mentre per i casi familiari (5-10%) già in passato sono stati
descritti specifici mutanti per
almeno quattro forme ereditarie:
ALS1, associata a SOD1 (Bruijn et al., 2004; Bruijn et al., 1998; Bowling et al., 1995; Borchelt et al., 1994; Rosen et al., 1993),
ALS2 alla alsina (Yamanaka et al.,
2003; Hadano et al., 2001; Yang et al.,
2001), ALS4 alla senataxina (Chen et
al., 2004; Moreira et al., 2004), e un’ultima forma è stata messa in
relazione con una mutazione nel gene per una subunità della dinactina (Valee et al.,
2004; Puls et al., 2003). Nonostante la bassa incidenza delle forme
familiari, lo studio su modelli sperimentali di SLA ereditaria si sta rivelando
molto importante per la comprensione della patologia anche delle forme
sporadiche.
Si stima
che all’incirca il 15-20% dei pazienti con forme ereditarie di tipo autosomico
dominante, ossia circa il 2% di tutti i casi di SLA, presenta mutazioni nel
gene situato sul cromosoma 21 che codifica l’enzima citosolico rame/zinco superossido dismutasi 1 o Cu/Zn SOD1 o semplicemente SOD1, un polipeptide di 153
aminoacidi che, come omodimero, catalizza la conversione di O2-
in O2 e H2O2. La malattia con questa eziologia
è denominata sclerosi laterale amiotrofica 1. Sono state descritte più di 100 mutazioni
di SOD1 (più di 140) in grado di causare forme autosomico-dominanti; l’unica
eccezione nota è l’omozigosi D90A SOD1, che è ereditata come recessiva. Varie
mutazioni, sparse lungo la struttura molecolare e non concentrate in prossimità
del sito attivo o dell’interfaccia del dimero, conferiscono a questa metalloproteasi
una o più funzioni tossiche che compromettono l’integrità dei neuroni motori,
causando lo sviluppo della degenerazione all’origine di forme familiari della SLA1.
Non è ancora stata definita la sequenza
di eventi e meccanismi molecolari che portano le forme mutate della
metalloproteasi a causare il danno, così come non è ancora stato stabilito
perché sono colpiti solo i motoneuroni. L’aggregazione e l’alterata
conformazione (misfolding)
sono stati implicati nella patogenesi della malattia, secondo quanto emerso
dagli studi condotti su modelli animali e persone affette.
Brotherton e colleghi hanno impiegato un anticorpo
monoclonale, C4F6, che specificamente reagisce con forme mutanti o “misfolded” di SOD1, per indagare la distribuzione regionale
della proteina SOD1 mutante nei tessuti dei roditori e di esseri umani.
Qui di seguito riportiamo anche l’introduzione
a uno studio sul ruolo dei miRNA, in cui si ricorda anche l’associazione non
casuale con le attività sportive; la SLA era infatti chiamata negli USA “malattia
di Lou Gherig”, e in Italia
fra i colpiti celebri si ricorda Stefano Borgonovo, l’arbitro Nuvoli, ma anche
sportivi non di carriera come Piergiorgio Welby e Luca Coscioni.
“La sclerosi laterale amiotrofica (SLA),
la forma più frequente di malattia del motoneurone che interessa tanto la cellula
di moto superiore quanto quella inferiore nel sistema nervoso centrale, sta
diventando una malattia di riscontro comune fra i neurologi, con un tasso di
incidenza annuale che varia da 0,4 a 1,76 per 100.000 abitanti, e picchi di
frequenza elevati per regioni o per particolari categorie di attività, non
ancora scientificamente riportati a cause precise. In proposito, desidero
notare che nell’ultima edizione dell’Adams
and Victor’s Principles of Neurology si riporta specificamente l’elevata
frequenza fra i calciatori professionisti italiani, come esempio di maggiore
concentrazione in una categoria lavorativa[12], al quale si può avvicinare
l’incostante riscontro di maggiore incidenza fra militari in diverse regioni
geografiche[13].
Basterebbero
anche solo questi dati epidemiologici, senza riferimenti alle particolarità
neurobiologiche della malattia, per giustificare l’interesse col quale la
nostra società scientifica segue da sempre gli sviluppi della ricerca in questo
campo[14], ed ora vuole proporre all’attenzione
dei visitatori del sito un’esaustiva rassegna di studi sul ruolo dei microRNA (miRNA)
nella SLA, realizzata da Cinzia Volonté con Apolloni e Parisi dell’Istituto di
Biologia Cellulare e Neurobiologia del CNR di Roma.
Ricordo
che, quando nel 2010 pubblicammo la recensione di un lavoro che aveva
identificato nel microRNA-206 (miR-206) una molecola in grado di rallentare la
progressione della SLA e promuovere la rigenerazione delle giunzioni
neuromuscolari in modelli murini della malattia, ricevemmo numerose comunicazioni
di ringraziamento ed apprezzamento da parte di molti che non avevano notizia di
questa nuova direzione della ricerca[15]. Oggi, mentre mi appresto a scrivere
di questa rassegna, ho ricevuto conferma che, a 5 anni di distanza, l’argomento
non è ancora entrato nella maggior parte delle aule universitarie in cui si
insegna la patologia della SLA, rimanendo confinato alle scrivanie prossime ai
banchi di laboratorio.
Se
l’inesorabile progressione clinica dell’atrofia muscolare che porta a morte
nella maggioranza dei casi entro cinque anni dalla diagnosi è ben nota,
l’eziologia non è conosciuta per il 90% dei casi, costituito dalle forme
sporadiche, e, in generale, la patogenesi non è chiara, nonostante una
considerevole mole di dati raccolti sulla fisiopatologia e le alterazioni molecolari
e cellulari presenti negli ammalati e riprodotte dai modelli sperimentali.
Proprio le evidenze emerse dagli studi sui modelli murini della malattia,
suggeriscono un meccanismo patologico dipendente
dalla cellula, con l’attivo contributo di elementi cellulari diversi dai
neuroni, quali astrociti, microglia, fibrocellule muscolari e linfociti T, che
in maniera diversa partecipano alle varie fasi del processo ad evoluzione
neurodegenerativa. I miRNA sono considerati dei fini regolatori delle reti
genetiche, e la scoperta della partecipazione alla biogenesi di miRNA delle
proteine mutate nella SLA, TDP43 e FUS/TLS, ha fortemente indicato la
possibilità di un’alterazione della regolazione da miRNA come meccanismo patogenetico
di questa malattia.
Pertanto, una
notevole quantità di energia e di impegno da parte di vari gruppi di ricerca in
tutto il mondo è stata investita per la comprensione del ruolo di queste
piccole molecole di acido ribonucleico”[16].
Conclusa questa
breve rassegna introduttiva, che si spera sia stata utile soprattutto per l’indicazione
di argomenti da approfondire a che vogliano accostarsi allo studio di questa
patologia, ritorniamo al lavoro qui recensito di Lucas
Caldi Gomes e i numerosissimi colleghi coordinati da Paul Lingor.
I ricercatori
hanno analizzato la corteccia prefrontale di 51 pazienti diagnosticati
di SLA non familiare (c.d. “sporadica”, che costituisce il 95-98% del totale) e
la corteccia prefrontale di 50 volontari sani fungenti da gruppo di controllo,
oltre che di 4 modelli sperimentali transgenici di SLA: C9orf72-, SOD1-, TDP-43-,
e FUS-ALS. Le osservazioni hanno consentito di scoprire significative
alterazioni molecolari associate alla patologia motoneuronica.
Un elemento apparso molto evidente nello studio
della corteccia cerebrale prefrontale affetta dalla forma non familiare della
patologia motoneuronica è un marcato dimorfismo sessuale: i pazienti di
sesso maschile presentano cambiamenti nelle vie molecolari molto più
pronunciati delle pazienti.
L’analisi integrata di 1) trascrittomi, 2) fosfo-proteomi, 3) miRNAomi
ha consentito di identificare 5 sottogruppi di SLA umana, caratterizzati
da variazioni: a) nella risposta immune, b) nella composizione
della matrice extracellulare, c) nella funzione mitocondriale,
d) nell’elaborazione dell’RNA.
I contrassegni molecolari dei 5 sotto-gruppi di SLA
umana erano riflessi in modelli murini specifici.
Lo studio ha evidenziato la via della proteinchinasi
attivata da mitogeno (MAPK-pathway) come un meccanismo patologico
precoce. I ricercatori hanno poi dimostrato che il trametinib,
un inibitore di MAPK, rivela benefici terapeutici in vivo e in vitro,
e indica una direzione da seguire nella ricerca farmacologica finalizzata al
trattamento mirato della SLA. I benefici del trametinib
sono stati maggiori nel sesso femminile.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni
Rossi
BM&L-29 giugno 2024
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La Società Nazionale
di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience,
è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data
16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica
e culturale non-profit.
[1] Ogni mese si pubblicano circa
16.000 lavori di interesse neuroscientifico (fonte: NIH) che il nostro staff di
recensori scorre e controlla quotidianamente per la scelta di presentazione
settimanale, se a questi dovessimo aggiungere lo screening degli studi
clinici, avremmo bisogno dell’aiuto di qualche decina di colleghi di alta
qualificazione disposti a lavorare, come noi, gratis per molte ore al giorno. Escludiamo
per metodo, tranne casi eccezionali come questo, gli studi clinici e, ancor di più,
la comunicazione su un singolo caso.
[2] Note e Notizie 04-05-24
Notule.
[3] Note e
Notizie 30-10-10 Nella sclerosi laterale amiotrofica (SLA) SOD1 normale e
mutante condividono conformazione aberrante e via patogenetica.
[4] Note e Notizie 29-05-21 Ruolo dello zinco di SOD1 nella SLA.
[5] Note e Notizie 17-10-15 MicroRNA
nella sclerosi laterale amiotrofica (SLA).
[6] Note e Notizie 31-03-12 Nella
sclerosi laterale amiotrofica (SLA) un anticorpo riconosce le forme tossiche di
SOD1.
[7] Di passaggio ricordiamo che, a
quel tempo, il rapporto fra nervo e muscolo non era ancora bene definito: nel
1869 Kühne, nelle sue pionieristiche osservazioni
microscopiche della giunzione neuromuscolare, afferma che il nervo non entra
mai nel cilindro contrattile; ma molti non vi danno credito e continuano a supporre
una continuità fra nervo e muscolo, simile a quelli che i reticolaristi
(compreso lo stesso Freud) ipotizzano fra i neuroni del cervello.
[8] Per questi cenni storici si
ringrazia la professoressa Monica Lanfredini.
[9] Per questi dati si ringraziano
le professoresse Diane Richmond e Nicole Cardon.
[10] In proposito, si ricordano gli
studi condotti dal gruppo di Lucia Banci presso il Dipartimento di Chimica
dell’Università di Firenze, e gli altri lavori su questo argomento da noi
recensiti (v. nella sezione “Note e Notizie”).
[11] È suggestivo che VEGF, una
citochina implicata nell’angiogenesi e deputata a molte altre funzioni, possa
giocare un ruolo come gene di suscettibilità per la SLA.
[12] La menzione si basa su uno
studio di 10 anni fa: Chio A., et al.
Severely increased risk of amyotrophic lateral
sclerosis among Italian professional football players. Brain 128: 472, 2005. Cfr. Adams
and Victor’s Principles of Neurology (Ropper, Samuels, Klein), p. 1110, McGrawHill, 2014.
[13] Un addensamento per area
geografica drammaticamente elevato di pazienti di SLA è descritto nella
penisola giapponese di Kii e nel Guam, dove la SLA è
spesso associata a demenza e malattia di Parkinson.
[14] Nelle nostre “Note e Notizie” le
recensioni di studi sull’argomento sono numerose; in proposito, si suggerisce
agli studenti di scaricarle, stamparle e raccoglierle in un fascicolo che può
costituire un utile aggiornamento ad integrazione delle trattazioni che si
trovano nei testi adottati per i corsi universitari.
[15] Note e Notizie 06-02-10 Una scoperta che potrebbe incidere sulla cura
della SLA.
[16] Note e Notizie 17-10-15 MicroRNA
nella sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Si consiglia
la lettura per i meccanismi dei microRNA.